Il Vangelo della IV domenica di Quaresima ha dell’incredibile, del paradossale. Gesù guarisce un cieco nato, dona luce a chi per anni ha vissuto in una condizione di buio permanente; e cosa accade attorno? Gioia, felicità, gratitudine: questo sarebbe giusto e naturale. E invece no!
Chi gli sta attorno è incredulo; e chi avrebbe l’autorità per riconoscere l’opera straordinaria di Dio accusa il cieco e accusa Gesù; accusa il malato e chi di lui ha avuto compassione: il primo diventa un bugiardo e il secondo un peccatore. La domanda è d’obbligo: ma in questa situazione chi è il vero cieco?
Forse non basta che i nostri occhi siano nella luce: Per poter vedere davvero ciò che si muove attorno a noi, ciò che vivono le persone accanto a noi abbiamo bisogno che la luce abiti nel nostro cuore, che sia liberato dal buio del rancore, del pregiudizio, della superbia, dell’invidia, della presunzione.
Penso a cosa avrà pensato quel cieco; penso alla sua gioia soffocata dal giudizio altrui, alla sua incredulità: prima solo perché malato, poi solo perché guarito nel giorno sbagliato, dalla persona sbagliata. Che paradosso!
Ma queste assurdità non sono d’altri tempi. Spesso le vediamo accadere in noi e attorno a noi: a volte siamo vittime, altre volte carnefici. A volte vediamo che il mondo attorno a noi è più capace di compiangerci per le nostre miserie che non gioire per il buono di cui siamo capaci. Altre volte noi stessi, abbiamo talmente tanto buio nel cuore da essere incapaci di gioire per gli altri, di accorgerci di quanto Dio sia presente in loro, di accogliere tutto quel buono che va oltre le nostre misure, le nostre regole e le tradizioni.